Cucina
della Nonna, il quartier generale della mia intera infanzia.
Teatro di grandi commedie, ma anche di qualche battaglia.
Teatro di grandi commedie, ma anche di qualche battaglia.
Sopra
la porta a vetri, accanto al grande orologio, lo stesso da sempre, le foto di
noi nipoti, perfettamente conservate; come se fossimo ancora quegli eterni
bambini.
Appena
entri sulla destra la vetrina in ciliegio e vetro. Al suo interno il servizio
di bicchieri in cristallo, i piatti in ceramica dipinti a mano e le tazze da te
bordate in oro.
Downton Abbey a confronto sembra Ikea.
Downton Abbey a confronto sembra Ikea.
Ogni
volta che la guardo, non è la sua imponenza a colpirmi o il fatto che ha visto
crescere oltre 4 generazioni di questa famiglia. C'è un qualcosa che cattura
ogni santa volta la mia attenzione. Accanto alla clessidra della mia Laurea e i
Mulini a vento blu e bianchi, souvenir del viaggio in Olanda, c’è il sopra-torta
con gli sposi del Matrimonio dei nonni.
Un simbolo, più che un oggetto, da oltre 50 anni. Se ne sta lì, quasi dimenticato, quasi per caso.
Un simbolo, più che un oggetto, da oltre 50 anni. Se ne sta lì, quasi dimenticato, quasi per caso.
Lo
fisso spesso. Mi sembra impensabile nell'epoca del visualizza e non risponde che un matrimonio possa essere durato
così a lungo. Lo fisso ancora. È la classica statuetta.
In abito bianco lei. In nero lui.
Si tengono sotto braccio, con un segno di naturale rispetto. Composti e dignitosi.
Come le storie di una volta. Quelle in cui l'amore doveva essere timido e accennato.
Perché nessun sentimento rispettabile sarebbe stato tale se fosse stato sbandierato ai quattro venti, sulla bocca sguaiata di qualche pettegola di quartiere. Un amore signorile che aveva il buongusto e la decenza di non consumarsi nel bagno di un locale affollato in un qualunque sabato sera.
In abito bianco lei. In nero lui.
Si tengono sotto braccio, con un segno di naturale rispetto. Composti e dignitosi.
Come le storie di una volta. Quelle in cui l'amore doveva essere timido e accennato.
Perché nessun sentimento rispettabile sarebbe stato tale se fosse stato sbandierato ai quattro venti, sulla bocca sguaiata di qualche pettegola di quartiere. Un amore signorile che aveva il buongusto e la decenza di non consumarsi nel bagno di un locale affollato in un qualunque sabato sera.
Li fisso di nuovo e capisco che il mio sguardo si è perso tra i miei pensieri. Penso a loro e mi chiedo come abbiano fatto a tener unita la famiglia per tutti questi anni. A quanta forza d’animo e di volontà abbiano messo nel non odiarsi ogni giorno per tutti quegli anni.
Perché le difficoltà portano a questo e per quanto se ne possa dire fanno parte della vita così come le incomprensioni. I malintesi poi sono il male che si fa parola.
E penso a me e al mondo che mi circonda. A quanti rapporti finiscono dall’oggi
al domani per tutti i ti voglio bene non detti, per tutti gli equivoci non
chiariti, per semplice non curanza.
Penso
a quanto lavoro ci sia stato dietro -perché di lavoro si tratta- a mandare
avanti una storia lunga una vita. Mi sembra impensabile nell’era del “non ci guardiamo più in faccia, ma in
realtà non c’è un perché”. In un mondo che da un lato è lo stesso di quello
dei miei nonni, ma che dall’altro è così cambiato e diverso. Un mondo in cui la
friend-zone, gli scopa-amici -scusa Papà, la tua bambina è cresciuta- e il divorzio lampo, hanno preso il
sopravvento su tutto e su tutti.
Li
fisso e mi rammarico di non aver mai chiesto alla nonna se avesse pensato alla
ormai veneranda età di 28 anni – le sue coetanea all’epoca erano già al terzo
figlio- che l’amore sarebbe stato un treno, ormai partito e sul quale lei non
era salita. Se avesse pensato fin da subito che quell’uomo affascinante e
simpatico, conosciuto per sbaglio in una torrida giornata eoliana, sarebbe
stato poi il compagno della sua vita. Imperfetto per carità -chi non lo è ?- ma
sempre devoto a quella grande e complicata famiglia che insieme hanno costruito.
Li fisso e penso a me, che nelle storie d’amore non ci credo più e penso che forse quella statuina, non sia stata messa lì per caso come qualsiasi altro gingillo. Che sia stata messa lì come monito, un faro di speranza, il segno tangibile volto a ricordarci che l’amore non solo esiste ma a volte persiste.
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