venerdì 15 aprile 2016

"L'amore (non) esiste"



Cucina della Nonna, il quartier generale della mia intera infanzia.
Teatro di grandi commedie, ma anche di qualche battaglia.
Sopra la porta a vetri, accanto al grande orologio, lo stesso da sempre, le foto di noi nipoti, perfettamente conservate; come se fossimo ancora quegli eterni bambini.
Appena entri sulla destra la vetrina in ciliegio e vetro. Al suo interno il servizio di bicchieri in cristallo, i piatti in ceramica dipinti a mano e le tazze da te bordate in oro.
Downton Abbey a confronto sembra Ikea.

Ogni volta che la guardo, non è la sua imponenza a colpirmi o il fatto che ha visto crescere oltre 4 generazioni di questa famiglia. C'è un qualcosa che cattura ogni santa volta la mia attenzione. Accanto alla clessidra della mia Laurea e i Mulini a vento blu e bianchi, souvenir del viaggio in Olanda, c’è il sopra-torta con gli sposi del Matrimonio dei nonni.
Un simbolo, più che un oggetto, da oltre 50 anni. Se ne sta lì, quasi dimenticato, quasi per caso.

Lo fisso spesso. Mi sembra impensabile nell'epoca del visualizza e non risponde che un matrimonio possa essere durato così a lungo. Lo fisso ancora. È la classica statuetta.
In abito bianco lei. In nero lui.
Si tengono sotto braccio, con un segno di naturale rispetto. Composti e dignitosi.
Come le storie di una volta. Quelle in cui l'amore doveva essere timido e accennato.
Perché nessun sentimento rispettabile sarebbe stato tale se fosse stato sbandierato ai quattro venti, sulla bocca sguaiata di qualche pettegola di quartiere. Un amore signorile che aveva il buongusto e la decenza di non consumarsi nel bagno di un locale affollato in un qualunque sabato sera.
 
Li fisso di nuovo e capisco che il mio sguardo si è perso tra i miei pensieri. Penso a loro e mi chiedo come abbiano fatto a tener unita la famiglia per tutti questi anni. A quanta forza d’animo e di volontà abbiano messo nel non odiarsi ogni giorno per tutti quegli anni.
Perché le difficoltà portano a questo e per quanto se ne possa dire fanno parte della vita così come le incomprensioni. I malintesi poi sono il male che si fa parola.

E penso a me e al mondo che mi circonda. A quanti rapporti finiscono dall’oggi al domani per tutti i ti voglio bene non detti, per tutti gli equivoci non chiariti, per semplice non curanza.
Penso a quanto lavoro ci sia stato dietro -perché di lavoro si tratta- a mandare avanti una storia lunga una vita. Mi sembra impensabile nell’era del “non ci guardiamo più in faccia, ma in realtà non c’è un perché”. In un mondo che da un lato è lo stesso di quello dei miei nonni, ma che dall’altro è così cambiato e diverso. Un mondo in cui la friend-zone, gli scopa-amici -scusa Papà, la tua bambina è cresciuta- e il divorzio lampo, hanno preso il sopravvento su tutto e su tutti.

Li fisso e mi rammarico di non aver mai chiesto alla nonna se avesse pensato alla ormai veneranda età di 28 anni – le sue coetanea all’epoca erano già al terzo figlio- che l’amore sarebbe stato un treno, ormai partito e sul quale lei non era salita. Se avesse pensato fin da subito che quell’uomo affascinante e simpatico, conosciuto per sbaglio in una torrida giornata eoliana, sarebbe stato poi il compagno della sua vita. Imperfetto per carità -chi non lo è ?- ma sempre devoto a quella grande e complicata famiglia che insieme hanno costruito.

Li fisso e penso a me, che nelle storie d’amore non ci credo più e penso che forse quella statuina, non sia stata messa lì per caso come qualsiasi altro gingillo. Che sia stata messa lì come monito, un faro di speranza, il segno tangibile volto a ricordarci che l’amore non solo esiste ma a volte persiste.





Credits- Tumblr

venerdì 8 aprile 2016

Di sole e d'azzurro



Le mani impegnate in qualcosa di più grande. Come se il futuro fosse davvero qualcosa che si può decidere nel presente. La voglia, che in realtà è più una necessità, di dar sfogo ai pensieri. Come se mettere nero su bianco potesse davvero essere utile a far chiarezza.

Fuori dalla finestra il sole imprevedibile di una sempre tormentata Sicilia. Lo stesso sole che tre giorni fa con impavida prepotenza regalava una leggera tintarella a coloro che a quei caldi raggi avevano creduto; lo stesso sole che oggi a fatica spunta fuori dalle nuvole, trascinate a forza da un inaspettato maestrale.

Intorno il caos.
Amici in piena crisi esistenziale che ti mostrano come in fondo a nuotare in quel burrascoso mare d’aprile non sei la sola e unica. Che tutti, nessuno escluso, di piccoli fastidi primaverili, sia concesso il vezzo di definirli tali, è esente. Tante, troppe le barche che hanno perso i punti di riferimento e alla deriva vagano senza meta e senza certezze.

Perché nell’imprevedibile realtà quotidiana niente è dato per scontato. Niente e nessuno. Le persone vanno e vengono come se vivere di momenti fosse davvero la via maestra verso la felicità. Una felicità che è effimera, fatta dell’oggi ci sono, domani non si sa. Di note stonate e incontri fugaci. Di pagine non studiate, di telefonate rubate. Di pranzi che è stato meglio saltare e di caffè che non sono mai abbastanza. Qualcuno dice che non è così e che in fondo ad esser venuta meno è solo quel pizzico di fiducia nei confronti di se stessi e di quanto di bello questa vita può ancora darci.


Eppure la voglia di stupirsi di nuovo è tanta. 
Di meravigliarsi guardando una nuova alba sorgere, perché quel vecchio tramonto, per quanto bello possa essere stato ormai appartiene a ieri. Di ridere fino a lacrimare. Di ballare, per la prima volta dopo tanto tempo senza avere pensieri per la testa. Di scoprire cose e persone nuove. Di gioire con gli amici di una vita, troppo lontani da una realtà così complicata. Di guardarsi negli occhi e di capirsi al volo. Del profumo della torta di mele, perché altrimenti non è domenica. Di ritrovarsi. Di ridurre tutto ad un giorno di sole.