venerdì 20 maggio 2016

La vita è adesso.






John Lennon diceva che la vita è quello che ti succede mentre sei impegnato a fare programmi. No. 
La morte è quello che ti succede mentre sei impegnato a fare programmi. 
Mentre sei impegnato a vivere. O come molti di noi fanno, a sopravvivere.

Il tempo scorre veloce, frenetico ad un ritmo incessante, tra una corsa in auto, perché siamo in perenne ritardo e una doccia rapida, giusto per scrollarci di dosso le scorie di una giornata sempre troppo movimentata. E se ci prendiamo un momento è per scattarci un selfie, come se da un lato volessimo rendere immortale quell’istante; lo stesso istante che verrà interrotto da una chiamata di lavoro o il suono del clacson dalla macchina dietro, perché il semaforo è verde e noi stiamo scegliendo quale filtro applicarci. Così la vita passa, tra stati postati e foto impostate. Come se quegli ologrammi potessero davvero rappresentare noi stessi. Come se la vera essenza di noi stessi fosse davvero quella. Che poi il problema non è nemmeno Facebook o Instagram o Snapchat. O il tempo che impieghiamo a scattare, registrare, modificare, filtrare, taggare, postare, commentare. 

Il problema, il danno, il guaio, la disgrazia è il tempo che perdiamo ad essere arrabbiati perché il lavoro non va, perché lui visualizza e non risponde, perché si è bucata la ruota, perché lei sta con un altro, perché il caffè si è versato sulla camicia di seta nuova, perché hanno finito il 37 di quel sandalo che con il vestito a pois cavolo ci stava così bene. Il tempo che perdiamo ad impuntarci perché è lei che mi ha deluso e non le voglio parlare, perché l’orgoglio viene prima di tutto, perché io volevo mangiare sushi e invece siamo andati in pizzeria. Il tempo che perdiamo ad arrabbiarci, perché l’amore non arriva o non ritorna o forse non c’è mai stato. A lamentarci, del tempo, del freddo, del caldo, della pioggia quel giorno in cui dovevamo andare al mare, di quel 28 che doveva essere un 30.A preoccuparci di cosa metterci, di cosa fare, di dove andare, della multa proprio un minuto dopo che era scaduto il biglietto, del parcheggio che ci rubano sotto gli occhi, delle telefonate inopportune ad ora di pranzo e di cena e di colazione, della batteria del telefono che dura troppo poco, del traffico che invece è sempre tanto.


Ebbene sì, è questo il problema, il danno, il guaio, la disgrazia. E anche se vivere senza pensieri semplicemente non si può, non è nella natura umana, io credo che dovremmo tutti imparare ad essere più leggeri. A non mancarci, a telefonare, ad incontrarci. A dire “ti voglio bene lo stesso, anche se non ci parliamo.”. 
Ad abbracciarci, a baciarci, a correrci incontro. A fare cavolate, ad affrontarne poi le conseguenze. A buttarci perché male che vada un rimpianto è sempre meglio di un qualsiasi rimorso.A rischiare, a metterci in gioco, a non prenderci troppo sul serio. Ad esagerare, con le chiacchiere, con le risate e con i caffè. A provarci, a riprovarci e a lasciar perdere quando semplicemente non va più. Ad andare a pranzo dai nonni, a chiacchierare con loro di quando le mezze stagioni esistevano ancora, di quando le ciliegie avevano ancora sapore. A mangiare carboidrati dopo le 18 anche la prova costume è alle porte. A ballare, sopra un tavolo con i capelli scombinati e i piedi doloranti, in una discoteca piena di gente che ti guarda allibita. A lasciare il mondo per com’è perché lei ti ha chiesto di vedervi. A salire su un aereo per raggiungere qualcuno che non è mai troppo lontano dal nostro cuore. A fare un pacco e spedirlo perché può esserci la distanza ma non per forza l’assenza. A cantare, ad urlare e bisbigliare. A lasciar correre, a non impuntarci, a non perderci in futili dettagli, per stupidi motivi. A credere in noi stessi, nell’amore e in questa vita che è troppo breve per non essere vissuta ogni giorno come se fosse l’ultimo.